sabato 26 ottobre 2013

L’avvocato, l’ADR e la “nuova” mediazione (Decreto del Fare n. 69/2013).

Se, prima del Decreto del Fare, il ruolo dell’avvocato che affianca la parte in mediazione era importante, ora, alla luce delle novità in materia, si può dire che sia divenuto fondamentale.
Le nuove disposizioni valorizzano infatti l’apporto dell’avvocato in mediazione sia con l’obbligo di assistenza tecnica che con l’apposizione della firma in calce all’accordo di conciliazione ai fini dell’esecutività.
Da sempre, il buon andamento della mediazione dipende in gran parte dalla preparazione del cliente effettuata dal legale e, perché ciò avvenga, occorre che l’avvocato conosca questo strumento e sappia come utilizzarlo al meglio.
E’ infatti l’avvocato a dover spiegare al suo assistito la natura della mediazione e i vantaggi ad essa collegati, a dover valutare se la mediazione sia la strada migliore da seguire per risolvere la controversia (valutazione, oggi, ancora più rilevante dal momento che l’”obbligatorietà” è limitata al primo incontro),  a proporre al cliente un determinato Organismo di Mediazione, ora anche territorialmente competente.
Nella prassi poi l’avvocato assiste – e ancor di più assisterà – la parte sin dal momento della presentazione dell’istanza di mediazione o di adesione alla procedura, mentre durante gli incontri avvocato e assistito contribuiscono, in modo diverso ma interdipendente, alla buona riuscita della mediazione: gli avvocati in quanto esperti del procedimento di mediazione e delle norme applicabili alla fattispecie, i clienti perché a conoscenza delle circostanze di fatto e delle questioni sostanziali sottese alla controversia.
Determinante è poi il ruolo dell’avvocato nella fase finale della mediazione, con riferimento sia alla scelta di chiudere la procedura con esito negativo (dovendo valutare con il proprio assistito se vi siano maggiori possibilità di ottenere un migliore risultato continuando la mediazione o agendo giudizialmente), sia alla redazione dell’accordo conciliativo, momento in cui il legale è tenuto oggi non solo al controllo della puntuale attuazione degli accordi raggiunti, ma anche alla certificazione della loro conformità all’ordine pubblico e alle norme imperative al fine di generare con la sua firma un titolo esecutivo.
Previsione, quest’ultima, grandemente innovativa che crea una nuova competenza in capo all’avvocato, senza aggiungere granché,  in punto responsabilità, rispetto alla consulenza prestata per la redazione dell’accordo conciliativo.
Alla luce delle modifiche legislative deve quindi ritenersi potenziata una nuova professionalità, quella dell’avvocato esperto in mediazione che sa come ottimizzare la gestione negoziale della controversia in tale sede.
Grazie a tale professionalità l’avvocato riesce a sfruttare al meglio, nell’interesse del proprio assistito, le potenzialità che la mediazione offre in un contesto che per le sue caratteristiche -quali il ruolo del mediatore, la presenza personale delle parti e la riservatezza- garantisce esiti favorevoli, anche dal punto di vista della qualità degli accordi raggiunti.
Diventa ancora più urgente pertanto l’impegno della categoria ad approfondire le tematiche inerenti la mediazione e i prossimi quattro anni serviranno a capire se quest’opportunità verrà colta, laddove è evidente che l’avvocatura, quale filtro di accesso alla giustizia, potrebbe divenire il volano per un efficace e proficuo sviluppo della mediazione.
Bisogna operare una sana e moderna amministrazione della giustizia, nel cui ambito la mediazione non deve più avere un ruolo residuale.

Tutti i professionisti dovrebbero riconoscersi nella promozione della mediazione, della negoziazione e delle soluzioni consensuali.

L’avvocato dovrebbe riconoscere che la risoluzione consensuale ed autonoma di una controversia, attraverso un’attività di mediazione o di negoziazione diretta tra le parti, assistite dagli avvocati, costituisce un metodo di risoluzione del contenzioso efficace, rapido ed economico, ove sia favorita la piena consapevolezza delle parti con riguardo ai propri diritti ed alle diverse prospettive di tutela.

Nell’esercizio della propria attività di consulenza e assistenza, l’avvocato si deve impegnare a promuovere e proporre la negoziazione e la mediazione come primo approccio alla risoluzione della controversia, avendo riguardo all’interesse primario del cliente ed alla natura della stessa controversia.

Prima di introdurre un giudizio, l’avvocato si deve impegnare concretamente a valutare, prospettare e discutere con il cliente la possibile apertura di una trattativa con la controparte sulla soluzione della controversia e, ove tale via non fosse percorribile, la possibile attivazione di un procedimento di mediazione. L’avvocato e il cliente devono comprendere che la mediazione presenta un rilevante valore aggiunto, derivante dalla presenza del terzo e dall’efficacia del suo intervento, che può risultare determinante rispetto alla semplice negoziazione diretta tra le parti, sia pure assistite dagli avvocati.

Ove il cliente sia stato convocato in mediazione o comunque invitato a trattare la soluzione di una controversia, l’avvocato si deve impegnare a valutare attentamente con il cliente stesso l’opportunità di aderire all’invito, rispondendo comunque alla controparte e motivando l’eventuale diniego.

Ove l’avvocato ritenga che la determinazione del cliente ad attivare un giudizio o a resistere in un giudizio da altri attivato, integri le fattispecie di cui al primo comma dell’art. 96 c.p.c., è tenuto ad informare il cliente stesso sulle possibili conseguenze, eventualmente rinunciando al mandato ove la mala fede o la colpa grave del proprio cliente esponga lo stesso avvocato a possibili violazioni della legge professionale o del codice deontologico. In ogni caso, l’avvocato si deve impegnare a richiamare l’attenzione del proprio cliente sulla necessaria diligenza nel valutare l’attivazione o la resistenza in giudizio, fornendo le opportune informazioni con riguardo alle prospettive prevedibili di fondatezza o meno dell’azione.

L’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione o di negoziazione diretta tra le parti in lite, deve costituire un fondamentale presidio di tutela del diritto della parte, assicurando quella piena consapevolezza del cliente che consente una libertà di scelta in sede di composizione consensuale del contenzioso. L’attività di assistenza stragiudiziale svolta dall’avvocato deve essere correttamente remunerata, anche in relazione al vantaggio conseguito dal cliente in termini di rapidità di risoluzione della controversia, soprattutto in caso di esito positivo. È dovere dell’avvocato prospettare un preventivo del proprio compenso, evidenziando e distinguendo la prestazione di assistenza in sede di mediazione o negoziazione assistita, oltre che per la redazione dell’eventuale accordo, nonché il risparmio in termini di attività successive evitate.

Nel rapporto con il collega di controparte, in sede di mediazione, di negoziazione o di qualsiasi altra trattativa, l’avvocato è tenuto a prestare la massima collaborazione in funzione della possibile risoluzione consensuale della controversia, in ogni caso tenuto conto dell’interesse primario del cliente e della natura della controversia.

Il ruolo di assistenza e consulenza svolto dall’avvocato, così come la funzione dell’avvocatura nel suo complesso, deve contribuire a sensibilizzare e responsabilizzare le parti con riguardo ad un utilizzo consapevole e non abusivo della giurisdizione, favorendo il ricorso ai metodi consensuali stragiudiziali, ove questi siano ritenuti appropriati alla risoluzione del caso concreto ed all’interesse primario delle parti.

L’avvocato che vuol proporsi alla propria clientela per una peculiare attitudine alla risoluzione negoziale delle controversie ed alla assistenza in sede di mediazione deve curare la propria formazione sulla normativa e sulla giurisprudenza di riferimento, sulla pratica e sulle tecniche di mediazione e negoziazione, nonché sulle principali componenti comunicazionali, emotive e psicologiche che afferiscono al contenzioso in genere. Resta fermo il dovere di competenza sulla singola materia oggetto di controversia.